CARLO BALDI
Sono nato ad Abbiategrasso il 31 luglio del 1955 ed ho subito iniziato a viaggiare, a conoscere popoli diversi e posti nuovi, secondo quello che sarà poi il filo conduttore della mia vita. Quando avevo 10 anni la mia famiglia si è trasferita a Mogadiscio in Somalia, dove siamo rimasti per 3 anni. Rientrato in Italia ho terminato le scuole medie per poi iscrivermi al Liceo Scientifico Vittorio Veneto di Milano. I miei quattro anni al VV sono stati difficili, caotici e confusi come lo era quel periodo: il 68. Gli anni di piombo, che hanno segnato l’esistenza di chi li ha vissuti, tra manifestazioni, occupazioni e bombe. Come quella di Piazza Fontana. Ho vissuto da vicino l’attentato alla Banca dell’Agricoltura e non posso dimenticare una piazza del Duomo stracolma, per i funerali delle 16 vittime. L’Europa occidentale stava cercando di cambiare, ma non ci è riuscita del tutto. Studiavo poco e facevo molto sport, calcio, ma soprattutto atletica leggera, mezzofondo. Sono innamorato della corsa, convinto che sia una delle massime espressioni di libertà, ma nello stesso di impegno e sacrificio. Dovrebbero renderla obbligatoria nelle scuole, per lo sviluppo fisico e mentale dei giovani.
La corsa agonistica come specchio della vita. Vuoi raggiungere dei risultati? Allenati tanto, preparati e quando ti senti pronto, gettati nella mischia, impegnati, dai tutto te stesso sino alla sofferenza. Se ce la farai sarai un uomo soddisfatto, felice e sicuro dei tuoi mezzi.
Nel 1973 torniamo in Somalia, terra meravigliosa, estate tutto l’anno, tanti amici, mare, moto e sport: calcio, pesca subacquea e soprattutto pallacanestro, prima come giocatore e poi anche come allenatore. Finisco il liceo scientifico, non senza difficoltà, e resto due anni a lavorare con mio padre alla Italtel, nel tentativo di ritardare il più possibile il mio ritorno in Italia, che però avviene implacabilmente alla fine del 1979. Torno a Settimo Milanese, mi assumono in Sirti, Società Italiana Reti telefoniche Interurbane a Milano. Per un po vado in trasferta come operaio addetto al montaggio delle centrali telefoniche, ma poi mi spostano nella sede di via Pirelli, come impiegato. Qui capisco che Fantozzi è un personaggio reale, e allora quando vengo a sapere che la Sirti ha iniziato un grande progetto in Arabia Saudita, attirato più che altro dai petroldollari, nel luglio del 1982 volo a Ryadh. Sono due anni e mezzo di lavoro, lavoro e ancora lavoro, ma ne vale la pena. E’ comunque un’esperienza incredibile. Da impiegato fantozziano mi ritrovo a responsabile del magazzino generale e a gestire manovali e magazzinieri di tutte le razze e nazionalità. Torno in Italia nel dicembre del 1984 e conosco mia moglie Alessandra. La meravigliosa donna della mia vita. Ci sposiamo nel marzo del 1986, ma in due non facciamo uno stipendio sano, e allora me ne torno in Arabia Saudita, questa volta con lei. Un anno e mezzo per rimettere a posto le nostre finanze e ce ne torniamo a casa, non più a Settimo Milanese, ma nel paese di mia moglie, la meravigliosa terra di Maremma. A Grosseto inizia quella che è stata senza dubbio la parte più felice della mia vita. Mi assume un’azienda grossetana che lavora la vetroresina: Vemar. Produce contenitori per liquidi alimentari, ma vuole differenziare la produzione realizzando e commercializzando caschi protettivi per motociclisti. Caschi, moto, piloti, gare. Il mondo che mi ha sempre affascinato. Vado in moto da quando avevo 15 anni e non ho ancora smesso (e non credo di smettere mai). Resto in Vemar per oltre due anni. Quando ho iniziato eravamo in 5 ad occuparci di caschi, ora tra dipendenti ed indotto siamo 250. Però faccio fatica a restare per più di due anni nello stesso posto di lavoro, e allora decido di tentare l’avventura del piccolo imprenditore, producendo caschi per ciclisti. Un’esperienza durata cinque anni. Tanti sacrifici, tanto lavoro, ma pochi soldi e ancor meno soddisfazioni. Nel 1995 chiudo l’attività. Nel frattempo ho conosciuto il titolare della ditta Kascobeta, che mi assume per prendermi cura delle due joint venture che ha iniziato in India e in Cina. Si torna a viaggiare. La Cina di quegli anni è completamente diversa da quella attuale e a Xiamen, dove mi reco spesso, per molti cinesi io sono stato il primo europeo che abbiano visto. Insegno a cinesi ed indiani a produrre caschi, e considerando cosa è successo dopo penso di aver svolto bene il mio compito. E arriviamo al 1999, quando io e Alessandra voliamo in Russia per adottare nostro figlio Alessio, un bambino fantastico che diventa subito la nostra gioia più grande. Nel frattempo ci siamo trasferiti vicino alla sede di Kiwi Sport, nei pressi di Trezzo sull’Adda. Stiamo bene, ma non voglio che mio figlio cresca in Lombardia, bensì al sole della Toscana e vicino al mare. Devo tornare a Grosseto, devo trovare un altro lavoro. Riesco a farmi assumere dalla Grosseto Export, Consorzio della Camera di Commercio che aiuta le aziende della provincia di Grosseto che esportano, o vorrebbero farlo. Un’altra bellissima esperienza che (tanto per cambiare) mi permette di viaggiare, di conoscere tanta gente e tanti paesi bellissimi. Ma a Grosseto c’è ancora la Vemar Helmets e siccome il primo amore non si scorda mai, nel 2002 ritorno ad occuparmi di caschi. Sono gli anni d’oro dell’azienda toscana. Oltre che di piloti e sponsorizzazioni mi occupo delle produzioni estere (indovinate dove?). Nel 2005 però le cose in Vemar cambiano, e non mi sento più a mio agio. Mi licenzio, ma alla tenera età di 50 anni mi ritrovo disoccupato. Qualcosa mi inventerò……. Riallaccio i contatti con l’amico Ippolito Fassati, che ha creato il sito moto.it, ed inizio a collaborare con un azienda di calzature per motociclisti, occupandomi ovviamente di piloti e sponsorizzazioni. Si torna in pista, in quel mondo che mi aveva sempre affascinato quando con Alessandra viaggiavamo in moto, direzione Imola, Mugello, Misano, per assistere alle gare del mondiale Superbike. Ora però non pago più il biglietto, ho un pass e sono dall’altra parte della rete metallica. Nel 2008 inizio a lavorare come ufficio stampa per un team Superbike, e visto che sono lì, inizio anche a scrivere per moto.it, che già pubblicava le mie recensioni dei caschi. La mia prima gara è in Qatar, e da li nella meravigliosa Australia. Il mio impegno con moto.it aumenta, sino a diventare la mia occupazione principale. E lo è ancora. Oltre che di Superbike mi occupo da oltre 15 anni anche del Campionato Italiano Velocità, che è forse il mio preferito, anche se il mondiale è certamente più affascinante. Sono ormai 14 anni che seguo tutte le gare direttamente in autodromo. Ne ho saltate poche e la maggior parte per stare vicino a mia moglie, che si è ammalata e dopo quattro anni se n’è andata. La mia vita felice è terminata il 22 settembre 2019. La compagna della mia vita non c’è più, e mi sento mancare la terra sotto i piedi. Mio figlio, mia sorella ed i miei tanti amici mi sorreggono di peso con il loro affetto e mi danno la forza di andare avanti, anche se la voglia di vivere è ridotta al lumicino. Undici 11 giorni dopo la morte di Alessandra mi devono operare per togliere un rene ed il tumore che lo aveva colpito, e mentre sono in ospedale vengo raggiunto dalla notizia della morte di mia madre. Sono talmente sconvolto che non ho nemmeno la forza di buttarmi da un ponte. Ma la vita mi ha insegnato a reagire, a combattere e allora ci provo. Ho vissuto una vita ammirando i piloti e allora cerco di fare come loro, di reagire al dolore anche fisico. Mi dovrebbero togliere le 50 graffette che tengono assieme la mia ferita, ma dico al dottore che ora non ho tempo. Devo andare in Qatar per l’ultimo round della Superbike. Senza Alessandra è tutto terribilmente inutile e difficile. A peggiorare il tutto ci si mette anche il maledetto coronavirus, che però mi lascia il tempo di andarmene in Australia e di fare un meraviglioso giro in moto assieme al mio caro amico Gordon Ritchie, il miglior giornalista del mondiale Superbike, con il quale ho condiviso molte nottate in sala stampa, scrivendo sino a quando la vista non ci si annebbia. Covid o no, nel 2020 i campionati si sono disputati lo stesso e questo è stato un bene anche per me. Quando sono in autodromo mi faccio avvolgere dal turbine delle corse, delle interviste, degli articoli e dei comunicati, e non ho il tempo di pensare alla persona più importante della mia vita. Che non c’è più.
Se siete arrivati sino a qui avete letto (più o meno) tutta la storia della mia vita (almeno sino ad ora). E’ lunga e forse noiosa, ma è giusto che chi lo vuole (ammesso ci sia qualcuno interessato a farlo) mi possa conoscere meglio. Ho tralasciato molte cose, molti fatti e moltissimi amici, ma non vorrei annoiarvi. Non posso però omettere il fatto che ho scritto un libro/manuale sul casco per motociclisti e che ne sto scrivendo un altro, che conterrà i migliori articoli che (a mio parere) ho scritto in questi 14 anni di competizioni. Se la mia storia proseguirà con qualcosa di interessante vi avviserò. Sempre qui, sul mio sito.